PRIMO BILANCIO DELL'ESPOSIZIONE COLONIALE

L'Esposizione Internazionale delle Colonie e il Surrealismo
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 4 dicembre 2010
IL POVERO SIGNOR PEEL
5
pagina
Siamo noi,  i poeti, che inchiodano i colpevoli all'eterna berlina. Quelli che noi condanniamo, le generazioni li disprezzano e li zittiscono. (Emile Zola)
Nella notte tra il 27 e il 28 giugno, il padiglione delle Indie Olandesi è stato completamente distrutto da un incendio.
"E uno!" sarà la prima risposta di ogni spettatore consapevole del vero significato dell’Esposizione di Vincennes.
Può sembrare sorprendente che noi, non essendo interessati alla conservazione degli oggetti d'arte, non ci siamo limitati a questa prima reazione. Il fatto è che come oppositori del nazionalismo dobbiamo difendere il nazionalismo dei popoli oppressi, come avversari dell’arte prodotta dall’economia capitalistica dobbiamo dialettica-mente opporle l’arte dei popoli oppressi.
Il padiglione che i giornalisti non si vergognano di denominare come “dell’Olanda” conteneva senza dubbio le testimonianze più preziose della vita intellettuale della Malesia e della Melanesia.
Vi erano, come sappiamo, i più rari e i più antichi esemplari artistici conosciuti di queste regioni, oggetti strappati con  violenza a coloro che li avevano concepiti e di cui un governo europeo, per paradossale che possa sembrare, non ha esitato a servirsi per reclamizzare i propri sistemi di colonizzazione.1
Probabilmente non era sufficiente la rapina e la scandalosa sottrazione per completare l’opera di distruzione, perché questi oggetti potevano ancora essere utili all'antropologo, al sociologo, all’artista.
Solo con una visione molto superficiale della questione possiamo considerare il fuoco del 28 giugno come un semplice incidente.
Ciò che è stato distrutto, nonostante l'uso che ne fa il capitalismo, era destinato a ritorcersi contro di lui, grazie al suo valore scientifico.
Solo la scienza materialista poteva beneficiare di questo valore conoscitivo come  Marx ed Engels, riprendendo le osservazioni di Morgan sugli irochesi e gli hawaiani, hanno perfettamente messo in luce nelle loro ricerche sulle origini della famiglia.
Le scoperte moderne, in arte come in sociologia, sarebbero inspiegabili se non si tiene conto del fattore determinante che ha svolto la recente rivelazione  dell’arte dei popoli detti “primitivi”.
Inoltre, il materialismo, nella sua lotta contro la religione, non può che utilizzare con la massima efficacia la necessaria comparazione tra tutti gli idoli del mondo.
Cosa che comprendono molto bene i missionari, i cui padiglioni non sono stati bruciati e che di solito deturpano i feticci e trascinano gli indigeni nelle loro scuole per fargli riprodurre il volto del loro Cristo secondo i dettami dell'arte europea più ignobile2 (questo confronto è più evidente nei musei anti-religiosi della Russia).
Tutte ottime ragioni per considerare come una sorta di atto mancato da parte del capitalismo la distruzione dei tesori di Java, Bali, Borneo, Sumatra, Nuova Guinea, ecc., elegantemente raggruppati sotto un finto tetto di paglia.
Si completa così l'opera colonizzatrice iniziata col massacro, continuata con le conversioni, il lavoro forzato e la malattia (a proposito, se i giornali francesi possono smentire che l’importazione di indigeni per l’Esposizione Coloniale non minaccia Parigi con la malattia del sonno e della lebbra, noi non garantiamo che i lavoratori dell’Esposizione sono al riparo da tutti i rischi delle piaghe europee, dall'alcolismo alla prostituzione alla tubercolosi).
Per coloro che sono tentati di ritenere irragionevole la responsabilità del capitalismo per l’incendio del 28 giugno, facciamo notare che contrariamente a quanto accade per il macchinista, vivo o morto, di un treno deragliato, il guardiano notturno del padiglione incendiato è stato licenziato.
Dobbiamo dedurne che per questo incendio  non abbiano trovato nessun rapporto con un qualsiasi comunista!
Tuttavia l'agitazione comunista in Malaysia è sembrata a Le Figaro, tra gli altri, in relazione diretta con la scintilla che ha appiccato l’incendio.3
Ci limitiamo saggiamente a considerare che il capitalismo deve rispondere di tutto ciò che accade a Vincennes, dove attualmente fa i suoi affari, senza per questo lasciarci andare ad accuse particolari, come ad esempio verso i missionari.
Tuttavia, una tale imputazione potrebbe trovare un certo consenso se si pensasse solo alle cattive abitudini dei preti, dalla distruzione delle immagini alla falsificazione di documenti.
Quanto a coloro che credono di rilevare come una imbarazzante contraddizione il nostro apprezza-mento degli atti purificatori del Proletariato che brucia i conventi spagnoli rispetto al volgare spreco messo filosoficamente in luce dal ghigno del maresciallo Lyautey, noi non ci accontente-remo di rinviarli all'inizio di questo testo.
Per costoro aggiungeremo che se i feticci delle Indie Orientali hanno per noi un indiscutibile valore scientifico, e che pertanto hanno perso ogni carattere sacro, i feticci di ispirazione cattolica (quadri di Valdes Leal, sculture di Berruguete, scatole per l’elemosina della ditta Bouasse-Lebel), non possono essere considerati né da un punto di vista scientifico né da un punto di vista artistico finché il cattolicesimo ha dalla sua parte le leggi, i tribunali, le carceri, le scuole e il denaro, e finché universalmente le diverse rappresentazioni del Cristo faranno una modesta figura nel confronto con tiki e totem.
Senza tener conto delle nostalgie che ha potuto suscitare ai piccoli borghesi - lo sapevate che la Francia era così grande? – l’Esposizione ha presentato da poco il suo primo bilancio.
Questo bilancio ha un deficit che non verrà colmato dal prezzo del tempio Angkor, venduto a una società cinematografica per essere, guarda caso, bruciato!
A questo proposito, una semplice domanda: il padiglione delle Indie Orientali Olandesi (salvo diversa indicazione) non era stato costruito per bruciare.
Tuttavia è arso come un fiammifero.
Il tempio di Angkor, invece, è stato costruito proprio per bruciare. Non è giustificato pensare che quest’ultimo avrebbe dovuto essere costruito in materiali altamente infiammabili, e che pertanto avrebbe potuto incendiarsi prima del tempo stabilito?
In queste condizioni, nonostante le assicurazioni fornite dal Commissario di Polizia al Consiglio Comunale secondo cui l’Esposizione è il luogo più sorvegliato del mondo contro gli incendi, l'opera colonizzatrice della Francia non rischierebbe di continuare non solo a spese della scienza e dell'arte, ma anche a scapito della vita delle comparse dell’Esposizione, e di gran parte della popolazione parigina?

3 luglio 1931

Yves Tanguy, Georges Sadoul, Aragon, André Breton, André Thirion, Maxime Alexandre, Paul Eluard, Pierre Unik, René Char, Benjamin Péret, René Crevel, Georges Malkine ( E dodici firme di compagni stranieri).

pagina
1 - “Desidero esprimere a Vostra Eccellenza i sensi della mia simpatia e dolore, in occasione dell’incendio per il padiglione delle Indie orientali Olandesi, che avevamo inaugurato assieme come un magnifica testimonianza del lavoro di colonizzazione svolto dal Vostro paese”. (Telegramma di Mr. Paul Reynaud al Segretario coloniale dei Paesi Bassi).
2 - Vedere L’Année Missionaire 1931
3 - Articolo d’Eugéne Marsan.